Basta runners!

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Basta Runners

Da Nuvolari a Vanzi, da Coppi a Bartali, passando per Rivera e Mazzola, fino ad arrivare a Rossi e Biagi, la storia italiana è costellata di dualismi e rivalità che hanno acceso la passione e scaldato gli animi di una e dell’altra fazione.
E dopo le infinite diatribe no TAV, no VAX, no TAP, capaci più di altre di far affiorare in superficie il temperamento impetuoso tipico della natura umana, una nuova e profonda battaglia ha diviso l’Italia dei cachi.

I telegiornali al tempo del Coronavirus sono scanditi dall’ormai consueto drammatico bollettino medico, a cui fanno seguito le notizie di ospedali al collasso, di cimiteri intasati, di mascherine assenti… ed ultimamente si sono accalorati per lanciare la nuova terribile minaccia che, prepotente e meschina, si è insinuata tra i cittadini: il Paese si divide e a suon di decreti, limiti e divieti, si è interrogata. “Runners sì, runners no, runners gnamme… se famo du spaghi…”.

Ieri ho potuto accogliere, con un leggero sospiro di gioia, il tanto agognato decreto che limita gli spostamenti alle attività essenziali, decretando di fatto la schiacciante vittoria del partito dei “Basta runners!”, ma che, soprattutto, con la chiusura di diverse aziende, limita ulteriormente le possibilità di contagio tra e da i lavoratori attivi (300000 solo quelli di Milano!).

Lo scontro però è stato aspro e il suo riflesso sui social ha lasciato un’ ombra cupa e lugubre. Appaiono già cosi distanti i giorni degli slogan, dei tricolori, degli arcobaleni, degli “Andrà tutto bene”, dei “Io a resto a casa” che coloravano i balconi delle case e che, pur non regalandomi brividi entusiastici o iniezioni di speranza, mi offrivano un accenno di sorriso e un vago senso di unione e solidarietà.

Quelli stessi balconi si sono trasformati in bivacchi per militanti armati di parole violente e secchi d’acqua, le strade in pericolosi campi minati sorvegliati di agenti in incognito camuffati da vecchiette e non sono mancati persino preti in tunica mimetica appostati sui campanili che imbracciavano minacciosi la carabina, tutti pronti a colpire i bersagli in movimento.

CAPRE”, “COGLIONI”, “ TESTE DI CAZZO”, “ASSASSINI” sono solo alcuni dei dolci epiteti con cui sono stati apostrofati i corridori; fino ad invocare il carcere duro, i cecchini e, nei casi di recidiva, la pena di morte.
Sono stati loro, quegli sfigati (ieri temutissimi) runners che, correndo da soli un paio d’ore a settimana su strade deserte, hanno assunto il ruolo di untori, accostati liricamente agli appestati manzoniani.
Mi chiedevo quale e quanta boria, violenza e cattiveria possa abitare l’animo di chi pronuncia queste parole.
Mi chiedevo quale profondo eccesso d’ autostima, quale inesplicabile senso di infallibilità, quanta presunzione e tracotanza deve possedere un individuo per considerare la propria visione superiore, non solo agli altri esseri umani, ma addirittura alla legge, sino ad ergersi “sbirro”, giudice e boia, senza nemmeno un processo.
Mi chiedevo quale percezione di sé, quale smisurato ego, quale infallibile preminenza sia necessaria per imporre la propria discutibile morale agli altri. Forse è semplicemente la paura, il sentore che una minaccia possa abbattersi sulle proprie teste e ancor di più su quelle dei nostri cari che è capace di esprimere anche il peggio di noi, il lato buio.

Oggi posso solo augurarmi che presto questo incubo finisca, che i morti e i vivi trovino pace e che la memoria di quanto stiamo attraversando rimanga accesa e vivida anche in futuro.
Mi auguro che quella rettitudine, quella coscienza civile, quel profondo senso etico rimangano vigili e pronti ad affrontare altre guerre, altre battaglie, altre tragedie che quotidianamente arrecano vittime e dolore da prima, durante e dopo il coronavirus.
Mi auguro che quella parte, grande, di popolazione, che sta affrontando la paura con rispetto e dignità, continui a farlo; sia che la affronti eroicamente, attivamente, con sofferenza o solidarietà oppure semplicemente stando a casa, leggendo, scrivendo, lavorando, cucinando, magari ridendo o piangendo, cantando o nel silenzio.
Mi auguro che lo faremo, che rimarremo empatici anche quando il dolore e la paura non riguarderà solo noi o i nostri affetti.

Oggi, mentre noi moriamo, la natura rinasce e l’aria, quella stessa aria che solo a Brescia causa 1000 morti l’anno, 80000 in Italia, torna ad essere quasi respirabile.

 

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