La vecchia baldracca

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Sostiene Pessoa: “Ho pena delle stelle che brillano da tanto tempo, da tanto tempo…”. Stronzata. Ancor più se scritta da un uomo, il cui destino è finire sotto due metri di terra, a marcire per far crescere l’erba. Scrive ancora il poeta lusitano (cito a memoria): ciò che fa paura “non è la morte in sé, ma l’idea che abbiamo della morte”. Et voilà il nocciolo della questione.

Il fatto che i vermi mi mangeranno il cervello, dopo l’antipasto dei bulbi oculari, lo vivo con tranquillità, come ogni realtà ineluttabilmente scientifica. Mangio una mozzarella di bufala da 200 grammi, un’ora dopo devo correre al cesso. Causa effetto, vita morte e niente altro.

Il problema, appunto, è l’idea che si ha della morte. Lo pensavo nel mordicchiare il capezzolo a una ragazza. Un capezzolo indurito dal piacere, che madre natura aveva ben posizionato al centro di una piccola ma succosa tettina. Perché in fondo è qui che si riassume l’idea della morte: perdere tutto, anche la più piccola, minuscola traccia di memoria di quel fantastico capezzolo (ci sarebbe il sorriso di mia madre, le bevute con gli amici, la faccia di Gregg Popovich dopo una palla persa… ma si parla di morte, restiamo sulla carne).

Pensare a quel dannato ultimo respiro diventa ancor più insopportabile, proprio perché al mondo resterà così tanta bellezza oramai irraggiungibile. Fra qualche centinaia d’anni, durante una festa estiva, è inoltre probabile che decine e decine di ragazze balleranno sulla fossa comune dov’è finito quanto resta della mia carogna. La vita è una vecchia baldracca, dimentica in fretta e non ricorda nessuno dei suoi amanti.

“Ah! Ah! Se tutte le belle donne morissero assieme a me!”, esclama quell’adorabile fallocrate di Zorba il greco. Un soluzione estrema, in effetti un poco egoista, certo taglierebbe la testa a parte del problema. Con me finirà il mondo intero, nessun rimpianto. Un paradiso all’incontrario, fatto di nulla, da raggiungere scopando e bevendo durante tutta l’ora d’aria che segue la nostra indecorosa concezione.

Resta comunque una magra consolazione, perché (stelle comprese) una stanchezza d’esistere non esiste. E non ci sarà, per le cose che sono, un’altra specie di fine se non la condanna all’oblio. La vecchia baldracca non fa sconti: n e s s u n o   s a r à   p e r d o n a t o. Ma proprio per questo scrivevi, caro Fernando: “La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta”.

 

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