Manuale di sopravvivenza per neo padri

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MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER NEOPADRI

Non so quanti di voi ci sia passato o ci stia passando, sono certo che moltissimi di voi sicuramente ci passeranno, e allora io, che sono nel mezzo della tempesta, mi permetto di fornirvi qualche coordinata per orientarvi e non boccheggiare nell’affannosa ricerca del voi stesso perduto.

Di cosa sto parlando? Della più clamorosa, prorompente, fragorosa bomba che possa essere sganciata nella quiete della vostra vita di trentenni: la paternità.

Quando vi dicono che un bambino è la cosa più bella che possa capitarvi, che dà un senso alla vita, che cambia tutto in meglio, credeteci, è giusto crederci, è giusto dirlo.

In sostanza è vero.

Ma provate a guardare gli occhi dei neo padri, non parlo di neo padri da un paio di settimane o un paio di mesi, quando gli occhi assonnati sono ancora commossi dal primo vagito, dal primo sorriso, come drogati dall’emozione, fatti di borotalco, anestetizzati dall’entusiasmo di parenti e amici, uno specchio liquido di luminosa emozione.

Parlo dei neo padri della terra di mezzo… quella tra l’idillio sopra descritto e la salvezza rappresentata dall’asilo (nido perdio!!).

Quel periodo corto ma lungo in cui si spengono le luci della ribalta mediatica, i nonni riprendono la loro vita, il lavoro riparte al ritmo di sempre, il volume e l’attenzione del cerchio dell’affetto si abbassano, gli amici diradano le visite e vanno per la loro strada… ecco in questo momento, mentre anche tu credi di avere il diritto finalmente di riprendere la tua vita,inizia la battaglia. E in battaglia non esistono diritti.

Le richieste, il peso (in termini di chili e non solo) e le energie della creatura magicamente aumentano.

I pisolini si accorciano, il facile biberon lascia il posto a una giungla di pappe, crescono i denti. Si alzano i decibel.

Ora la cacca lascia il posto alla merda.

Ecco in questo periodo gli occhi dei neo padri sviluppano una leggera patina opaca, fatta di un sonno che diventa endemico, quasi epidermico.

È un sonno che si allunga negli arti rendendoli pesanti, rallenta i tempi di reazione, offusca le idee. Fin dalle prime ore della mattina. E in crescendo.

È una nebbia che esce dallo schermo del vostro pc in ufficio e vi fa sudare la schiena.

Un sonno che esce allo scoperto in tutto il suo irresistibile fulgore alle 14 se farete l’errore di ingerire un carboidrato a pranzo. E vi punirà.

Vi chiuderà le palpebre, nel mezzo di una riunione o in coda in autostrada. Diventerà parte di voi.

Ma non c’è solo sonno in quella patina opaca, c’è anche qualcos’altro. È una specie di paura. Come quella dei pesci rossi quando schizzano fuori dalla boccia con quegli occhi inebetiti.

Non è claustrofobia, ma è simile… è fame d’aria.

Paura di soffocare.

Quando l’avvertirete (perché succederà!) la prima tentazione sarà di reprimerla, in un misto di vergogna e negazione. Non fatelo, non serve a niente. Ammettetela piuttosto, affrontatela.

La verità è che volete fuggire, rivolete la vostra vita di prima. Ammettetelo, ripetetelo ad alta voce, sarà il primo passo per guarire.

Non ha niente a che fare con l’amore che provate per vostro figlio/a, smettetela di crucciarvi, non toglie nulla a lui/lei… se sarete bravi  e tempestivi non se ne accorgerà nemmeno, smettetela di sentirvi in colpa: è una cosa tra voi e voi, solo vostra, la resa dei conti finale col tempo che passa, con la paura di diventare grandi.

Avete rimandato questo scontro ai primi capelli bianchi, persino ai primi che cadevano, l’avete rimandato ai vostri 30 anni, ai matrimoni degli amici, persino al vostro se sarete stati un po’ distratti.

Avete fuggito la contesa quando avete sostituito le scarpe da ginnastica con la cravatta, quando avete prenotato l’albergo con la morosa invece di andare all’avventura a dormire dove capitava con gli amici.

L’avete dissimulato col fantacalcio, con il Pagodino il venerdì, con il calcio giocato nonostante i chili in più tirassero la maglia e i ragazzini di 20 anni vi passassero sulle orecchie già da un po’.

Ma ora dovete ammetterlo.

Siete grandi, non vecchi forse, ma certamente non ragazzi.

Non potete fuggire proprio da nessuna parte ormai, non con una creatura a casa.

Questa l’analisi, la cruda realtà dei fatti. Come uscirne vi chiederete?

Ciascuno trovi il suo metodo, non esiste una formula credo, ma visto che ci sono vi dico come faccio io quando mi piglia l’ansia:

Mi metto le scarpe da ginnastica ed esco a correre, meglio se comincia a fare buio, fino a quando il sudore scioglie la tensione, il battito del cuore che accelera spezza le catene che imbrigliano pensieri e respiro, la nebbia si dirada.

Meglio ancora se piove, sembrerà un lavacro divino, la panacea di tutti i mali.

Ma vale anche un’uscita in moto per chi ce l’ha, cento vasche in piscina, la Maddalena in bicicletta. In sostanza, fatevi male fisicamente.

Quando torno a casa mi sento come Ulisse, stanco e pago, anche se sono arrivato a Mompiano e ritorno e un paio di ragazzi in tuta ipertecnica mi sono passati sulle orecchie nei pressi di Studios. Sono lontani i tempi di NY e la maratona, ma ora so che nessuno mi impedisce di allenarmi e riprovarci, tutto mi sembra possibile adesso.

Rientro in casa, vedo mia moglie sul tappeto con la piccola che prova a gattonare e ride, ridono tutte e due e mi sorridono.

Salgo in bagno e mentre guardo il mio fisico un po’ appesantito sotto la doccia percepisco di essere esattamente al mio posto, dove devo essere, e che sono felice.

Metto la mia tuta-pigiama, mi apro una birra e mi appresto a risalire sulla giostra pappa-rutto-cacca-nanna e fare la mia parte, come sempre, mentre un altro giorno se ne va.

Quando tutto tace e finalmente mi stravacco sul divano davanti al mio aristocratico sky hd, penso ai miei amici singoloni in giro a far danni e sorrido… dateci dentro anche per me ragazzi!

Che sonno cazzo… buonanotte.

 

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