BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi)

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BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi)

Ogni città ha le proprie debolezze inscritte nella carne, essendo lo specchio degli uomini che la abitano. Hai voglia a rifare la pavimentazione, i restyling delle piazze, a sostituire i vecchi lampioni con scintillanti LED, che rendono le strade bianche che più bianche non si può, smacchiandole come i detersivi. È solo un modo per rifarsi il trucco, ma la pelle cade incisa dalle rughe, da chi non ha un tetto sotto cui dormire, da chi è costretto a rubare per avere qualcosa da mangiare, o per farsi un buco in vena dentro il quale svanire. Una città può ingannare qualcuno che la vede per la prima volta, ma non chi le sta a fianco ogni giorno — come una bolsa cinquantenne che si mette tacchi e minigonna per andare in discoteca, cercando un’ultima emozione contraffatta. L’alternativa all’abisso non è la fuga: non c’è rifugio in cui trovare conforto, se le tue debolezze sono inscritte nella carne.

Il binario 1 della stazione di Brescia è un dormitorio a cielo aperto, la notte. Se vi chiedete come mai i senzatetto non se ne stiano nell’atrio, riparati da pioggia e freddo, è subito detto: un’ordinanza della giunta Del Bono, che si dice di sinistra con gran spregio del ridicolo, ha infatti vietato la sosta prolungata per questioni di decoro. Un’ordinanza-fard, maquillage urbano in pura salsa fascioleghista (questi gli insipidi ingredienti: il colpevole è il povero, non la povertà). Così si è verificato un vero e proprio esodo biblico, ma di pochi metri: tutti a dormire sulla banchina che, essendo di proprietà delle Ferrovie dello Stato, è fuori dalla giurisdizione comunale. Le porte di vetro tra le due zone sono il Mediterraneo che divide l’Africa dalle coste sicule: ad ogni livello, il capitale riproduce le stesse dinamiche di esclusione — e, se non sei utile al soldo, per te son già pronti miseria e abbandono, l’onta di un destino funesto. Certo, se tu fossi un prodotto da vendere, l’atrio della stazione è pieno di negozi climatizzati estate e inverno.

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) stanko

Stanko

Il binario 1 della stazione è il mondo intero. Se la bella Sharazād fosse ancora viva, verrebbe qui in cerca di storie per placare la sete di sangue del re persiano. A dormire vicino al distributore di bibite, c’è un ex calciatore di serie A del campionato jugoslavo: è soprannominato Stanko, arrivato in Italia scappando dalla guerra oltre vent’anni fa, salvandosi da eccidi che l’Europa di Auschwitz ha fatto finta di non vedere, sebbene i Balcani non siano di proprietà delle Ferrovie dello Stato. Poi ha rovinato tutto con l’alcol, la moglie l’ha cacciato di casa, i suoi due figli l’hanno ripudiato (uno di loro ha preso dal padre, e gioca a calcio a buon livello). Se lo incontrano per strada, i suoi familiari fanno finta di non vederlo, lui che porta i loro nomi tatuati sul braccio. Passa le giornate a leggere i quotidiani usciti il giorno precedente, sulle notizie della Gazzetta potrebbe vincere un quiz in televisione. Non rubo e non rompo le palle a nessuno, racconta con la voce velata di rancore (un rancore cieco e indefinito, senza un oggetto su cui abbattersi e riposare). Me no sto qui, sto bene qui: se passate, non me ne faccio niente della vostra elemosina: portatemi piuttosto un cartone di vino. Stanko non smetterà mai di tirare calci: la guerra gli ha tolto il pallone, lasciandogli solo il vento.

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) Luciano

Luciano

C’è anche Luciano, sul binario 1. Ha la sua pensione dopo una vita da gruista in acciaieria, ma preferisce starsene a dormire in stazione; qui lo conoscono tutti, qui si sente riconosciuto. Di giorno gioca a carte con gli amici a San Polo. Ci vado usando la nuova metropolitana, sottolinea. Posso farti una foto, Luciano?, Sei matto, poi senti tu mia sorella, Come non detto, Una puoi farmela, in fondo che sarà mai? Sono venuto bene almeno?, Il pensionato più bello di tutta Brescia. Nei suoi occhi brilla la scintilla della gioia infantile, lo sguardo che spreme entusiasmo dalla quotidianità. Luciano è una porta chiusa sui legami (e sulle catene): come ogni porta chiusa, fa pensare all’aldilà che trova inizio al suo interno.

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) Stephan

Stephan

E poi c’è Stephan, che ti chiede una monetina per il caffè. Ha i denti marci e un sorriso stupendo, incredibilmente vero, qualcosa di puro. Gli chiedo da dove viene; risponde: Sono nato sul carretto dei miei genitori mentre attraversavo una dogana, sono nato sulla terra. E io non ho alcun dubbio che sia così (perché rovinare una bella storia con la verità?). Mentre parla muove le dita come se stesse orchestrando i fili di una marionetta, una marionetta fatta di tanti racconti di vita o inventati. La sua felicità è un’arte, estetica e interiore: l’arte di sopravvivere a se stessi (nei corsi da trovo-un-senso-alla-mia-vita-nel-dopolavoro, Stephan raccoglierebbe migliaia di adepti).

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) Palo

Palo

Palo ha gli occhi iniettati di sangue. È stanco, la stanchezza rabbiosa dell’alcol. Rincorre parole a caso, un misto di inglese e italiano, rinchiuso nel suo soliloquio come in una città assediata. Cerca di farsi capire; non vuole che io scatti fotografie: Cosa fai con quella, cosa scrivi su quel foglio? Stavamo solo parlando, voglio raccontare le vostre storie; non sono uno sbirro, sono tuo amico. Non vuole credermi, o forse non può: troppo l’odio piovuto sulla sua pelle da quando è arrivato dall’Africa, intossicato dal veleno secreto da diffidenza e disprezzo (e pensare che ero arrivato in Italia per correggere la sfortuna, dare una spallata alla miseria). Palo è un prodotto di schedature, fogli di via, allontanamenti, celle di sicurezza. È un prodotto dei Salvini; forse un giorno spingerà una signora per rubarle la borsetta, la farà cadere, rompendole un’anca: Volevo solo mangiare, cercherà di giustificarsi. Nulla da fare, pronto all’espulsione, il cerchio è chiuso: la sconfitta di Palo sarà la vittoria dei Salvini, sciacalli degeneri che si nutrono di carne viva.

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) Michael

Michael

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) Singh

Singh

Michael danza sul binario 1, per lui la banchina è solo il prolungamento della spiaggia di Bahía. Michael è polacco e non parla italiano. Ma balla con la sua birra in mano, e salta su una gamba. Ha gli occhi azzurri, colmi di enigma e furbizia. La sua risata ha un sapore primigenio, avvelena la quiete con il sospetto del caos. Si muove con grazia nonostante i suoi quarant’anni. Fa impressione vederlo aleggiare davanti a un pendolare seduto su una panchina, cupo e svuotato, in attesa del treno. Guarda fisso lo schermo del cellulare, scorrendo col pollice i social network della solitudine. Indossa giacca e cravatta, Michael puzza da far vomitare. Ma se guardate alle anime fate pure il contrario. Michael paga rate del mutuo solo al tempo che passa. Accanto a lui c’è Singh, un indiano grassoccio. Nasconde in fondo agli occhi un dolore che ti si inchioda nella carne. Non mi sento di chiedergli nulla, lui mi domanda se può essere fotografato: Poi posso vedermi nello schermo? Il mio regalo per Singh è la fissità di un ritratto: la pretesa solitaria di ogni dolore non trova spazio in un orologio senza lancette.

Le storie che il binario 1 racconta danno un volto nuovo a desideri e aspirazioni, liberano le paure riscattandole dall’impostura del pericolo (ora, sorelle sincere, potete comodamente sedere al nostro fianco). Ogni cosa diventa ostinatamente inconsistente, la fondamentale inconsistenza di tutto ciò che è umano; ma, allo stesso tempo, appaiono sentimenti di una violenza adamantina, in un’insondabile coincidenza di contraddittori. Nessun trucco, nessuna protezione di plastica sulla vita: qui infettarsi è d’obbligo, qui è impossibile domandarsi Come mai le lacrime tardano tanto ad arrivare?

Al fine di tutto, lasciando il binario 1 verso un letto e un portone sbarrato, resta una certezza banale e sincera come un cordoglio: Stanko, Luciano, Stephan, Palo, Michael, Singh… mentre ascoltavo i vostri racconti, guardavo i vostri stracci, non mi è mai venuto in mente (nemmeno per un istante fugace) di essere più felice di voi. Semmai ho provato una certa nostalgia, la nostalgia per una verità che ho sempre creduto mia: il vagabondaggio come intima natura dell’uomo, la risposta più radicale e poetica all’ideologia del possesso. Ma con gli anni sono arrivati i compromessi, accettando di farmi amministrare la vita — pensare di non poter essere cambiati dal sistema è un vano illudersi. Grazie a voi ho osservato quella verità attardarsi ancora un attimo di fronte ai miei occhi, pacifica ma inesorabile, un po’ come si attarda la luce nell’ora del crepuscolo. Poi, si sa, viene subito sera.

BINARIO 1 (ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi) CHIUSURA

 

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