Per farmi insegnare la mia distanza dalla stelle, ho bussato al civico 140, una palazzina di via Milano. Qui vivono Hanene e Rose, con le loro famiglie, con i loro figli. Senza riscaldamento, la minaccia dello sfratto.
Porte e finestre murate in quasi tutti gli appartamenti. La polizia che fa sigillare una porta con ancora all’interno i vestiti, le foto, reliquie del passato di una famiglia che si era allontanata da casa, dal suo focolare, il fuoco che custodisce, che è custodito nella memoria di oggetti d’amore perduto di cui ognuno si circonda per abitare la terra. Dove il Padre spezza il pane per i suoi figli, la Legge ha avuto il coraggio di posare pietre tombali, mentre un Giudice perdeva ogni consapevolezza tra ciò che è legale e ciò che è legittimo. Dove un figlio ha mosso i suoi primi passi, facendosi esso stesso dimora del Mortale, il potere ha posto il sigillo della mera proprietà.
Dentro casa, Hanene mi accoglie con tè e biscotti. Non si trova, però, lo zucchero appena comprato per gli ospiti alla vicina Esselunga (con me c’è anche il mio amico-giornalista Alessandro). La figlioletta, due anni, rannicchiata sotto il tavolo se ne sta riempendo la bocca con le minuscole dita. Alza la testa, ci guarda, sorride ricoperta di piccoli cristalli trasparenti.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone, scriveva Calvino. Io, a Brescia – città della metro da un miliardo di euro – assieme al deserto ho bevuto un tè coi biscotti.
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