Allora, consiglio prima di iniziare a leggere questa storia, scritta da uno che non è capace nemmeno di scrivere la lista della spesa, cercate e, mentre leggete, ascoltate la canzone che sto ascoltando io in questo momento ed immaginate d’essere sotto la veranda di una tenda, seduti, con le gambe accavallate sul tavolo, fuori elefanti ed impala, scimmie sul tetto, in lontananza una giraffa. (“Fire” dei Kasabian)…se non avete cazzi, continuate!
Giuro, non so da dove partire, ma qualcosa devo scrivere, l’ho promesso da troppo tempo a quello che uno dei miei più cari amici “Dai, scrivi qualcosa per Odiopiccolo, scrivi qualcosa della tua nuova vita inTanzania”. Quante volte gli ho promesso l’avrei fatto e quante volte non l’ho fatto!?! Questo, spero, sia per te un gradito regalo di Natale.
Come quando ero bambino, anche ora mi sono influenzato a Natale, peccato che qui, nella savana tanzana, non ci sia mamma a curarmi e coccolarmi, Asterix e Willy Wonka in TV, il presepe e l’albero, o meglio, l’albero di Natale c’è, ma non è un abete, ma un’acacia piena di spine, capaci di trafiggerti da parte a parte…comunque bello!
Mentre scrivo, dalla mia veranda, mi guardo attorno e capisco che il Natale non si confà con tutto quello che mi circonda, che centrano con gli elefanti, lucertole multicolor, giraffe, caldo (troppo!), persone vestite da safaristi anni ’20, io in t-shirt e pantalone corto.

elefanti in tanzania
Torniamo a noi, perché mi è stato chiesto di scrivere qualcosa riguardo la mia esperienza in Tanzania, nel parco Nazionale del Ruaha, la mia casa.
Tutto ha inizio nel novembre 2012, qualcosa, non so cosa, mi ha portato a partire dalla mia Brescia, io che ho sempre voluto andare, ma che non l’ho mai fatto perché tante cose non me l’avevano mai permesso. Cose di cui non mi pento, intendiamoci, la scelta di prendere Haran, il mio fido amico, una stupenda e travagliata storia d’amore, poi finita (o no), un buon lavoro.
Quando tutto questo è arrivato a termine, ho dovuto cercare il modo per riprendermi la MIA vita, il modo per tornare a riconoscermi, per risollevarmi ed andare oltre, avanti. Quella mattina di novembre son partito, accompagnato dal mio amico V. all’aeroporto di Orio al Serio, alla volta di Dublino, ricorderò per sempre i nostri sguardi, so che lui era fiero di me, della mia scelta, mi vedeva partire, ma chi avrebbe mai detto che, da un’esperienza a Dublino di due mesi, per migliorare il mio inglese, tutto sarebbe cambiato?!?
Da due mesi, ho allungato a tre…cercavo di ritardare l’idea di tornare alla mia vita, un nuovo lavoro, di cui non ero convinto, la mia famiglia, la mia amata moto, la mia nuova casa, i week end al Carmine, tre settimane di vacanze ad agosto e due a Natale, viaggi ogni tanto, sabato allo stadio a vedere il mio Bressa…invece, giusto lo scorso Natale (vedi che il titolo ha un senso) viene a trovarmi Pippo, a Dublino, e mentre ci beviamo una Guinness, pasteggiando ad ostriche (rimasugli di un benessere, oramai, svanito), lui mi dice “Senti, vieni in Tanzania, vieni a trovarmi, è un paradiso, passaci un po’ di tempo poi, magari, ti vien voglia di fermarti, ti vedrei bene a lavorare nel mondo dei safari”. Io, nel safari? Io che mi son sempre rifiutato d’andare al circo o allo zoo e che gli animali della savana li conoscevo grazie a “Quark” diPiero Angela, io che fino a poco tempo prima ero un commerciale e che avevo macinato km, leccando il culo a clienti, litigando con debitori, giornate, inutili, spese al telefono.

leonessa in tanzania
La discussione finisce con un’altra birra, passiamo ad altro e non ci pensiamo più, il giorno dopo, un abbraccio in O’Connel Street, lo vedo partire con il bus verso l’aeroporto, ho gli occhi gonfi, convinto non l’avrei rivisto per chissà quanto tempo.
5 gennaio, data che difficilmente dimenticherò, sono nella mia camera, regale, a Dublino, arriva una mail da Pippo, con un link di Turkish Airlines, il titolo della mail dice “Non puoi non venire!”, apro il link e trovo un’offerta andata/ritorno che mi invitava a prendere il volo, la stessa sera compro il biglietto, senza pensare al nuovo lavoro che avevo già accettato e che mi aspettava a Brescia.
Dopo la mia vacanza/studio, adolescenziale, tre mesi passati in una splendida famiglia irlandese (I love you, Flemings!!!), tutti i giorni sui banchi di scuola, e chi si ricordava più, era arrivato il momento di fare qualcosa che, il “buon senso”, in passato, mi avrebbe portato a non fare: quarantacinque giorni in Tanzania, LA VACANZA, poi si vedrà.
A fine gennaio torno a Brescia, il tempo di disfare le valigie, rifare le valigie, salutare la mia famiglia, un paio di aperitivi con gli amici e sono nuovamente in viaggio.

la nuova fidanzata di Heisenberg
Che dire, la Tanzania mi ha aperto il cuore e lei ha aperto il suo a me, quella che doveva essere “la vacanza” è diventato il crocevia delle mie scelte a breve/medio termine “Che faccio? Torno a Brescia? Hai comprato una casa, cazzo, non puoi scappare dalle tue responsabilità! Torno a Dublino, rimango qui? Dopo 25 giorni sapevo che fare, ma sempre quel maledetto senso di colpa cattolico a rovinare tutto, così ho deciso che non avrei più fatto programmi a più di tre mesi a venire, tutto questo dopo aver scoperto che i tanzani, la mattina, non sanno se avranno i soldi per la cena, così tre mesi ti sembrano tantissimo tempo.
Una vacanza fantastica, fatta di colori, profumi, natura, montagna, scoperte, la piccola A., Pippo, Zanzibar, frutta esotica vera,chipsmaiai, il baco di Aku, Serengeti, Ngorongoro, Maji Moto, posti pazzeschi sul Monte Meru, dimenticati da Dio…son tornato a Vivere!

vacanze in tanzania
Finita la vacanza, son tornato a casa, ho dato la lieta novella a mamma Giusy la quale, da grande donna che è, mi risponde “Sei felice in Tanzania? Stai in Tanzania…ovunque, basta che tu sia felice”. Tre settimane a Brescia, un piano da seguire in modo meticoloso per far tutte quelle cose che devi fare, quando decidi di trasferirti, non a Londra, ma a sud dell’equatore, dove, quando sei fortunato torni a casa una volta l’anno e se ami i formaggi, meglio che ne fai una scorta prima di partire, comunque devi organizzarti bene, bene: chiudere casa, le utenze,abbonamenti vari, avvisare la banca, l’assicurazione, il dentista, il bar di fiducia, passare un po’ di tempo con gli amici e parenti… il tempo sufficiente per farmi venire dei dubbi, anticipatamente sedati dall’acquisto del volo, solo andata, tiè!!!
Il ritorno in Tanzania, là dove è sempre estate, là dove la gente ride sempre anche se non ha un cazzo da ridere, là dove non esistono suicidi, depressione, dove i bambini giocano con la sabbia e non si ammalano mai, dove l’anziano è rispettato come un Dio, dove non vai a far shopping per colmare dei vuoti (chi mi conosce sa del mio patologico acquisto di scarpe, son guarito, ora le uso fino a che non hanno i buchi), dove i rapporti uomo/donna sono più netti, (con rispetto, intendiamoci) in Italia non lo capisco più, mi dà l’idea che sia “annacquato” , chi è l’uomo, chi la donna, chi fa chi? Tutto è più complesso, noi siamo troppo complessi.
Dopo tre settimane dal mio rientro ad Arusha, la mia città tanzana, ho trovato il lavoro che cercavo, fantastico, camp manager in un campo tendato all’interno del più selvaggio e inesplorato parco nazionale della Tanzania, il meraviglioso Ruaha, il “mio” Ruaha, la mia nuova casa.

la mia nuova casa a Ruaha in tanzania
E’ stato amore a prima vista, arrivato, dopo due ore e mezza d’aereo (tipo quello del veterinario dell’Amaro Montenegro) mi sono chiesto, come mi ha detto qualche giorno fa un ospite francese “Come si fa a vivere nel centro del nulla?”, una risposta me la sono data dopo un periodo d’adattamento, diamo un valore al nulla, per qualcuno può essere abbastanza o il tutto, per me questo “nulla” è il tutto, ora.
Non mi manca niente che non sia sostituibile dalla savana, vuoi la tv? Io ho uno schermo quattro milioni di pollici che mi offre, tutto il giorno, un documentario di National Geographic, ho un letto super comodo, non ho bisogno di riscaldamento o aria condizionata, ho un ufficio senza finestre con il tetto di paglia, invece delle auto, vedo passare scimmie ed elefanti, ho internet satellitare che mi permetterà di inviare sta cacata che sto scrivendo, cena e pranzo super luxury, ogni sera ospiti diversi, persone diverse con cui parlare. Certo non è tutto oro ciò che luccica, quando stai per uno o due mesi nella savana, hai bisogno di un minimo di vita sociale, ma quando poi la vivo, dopo un paio di giorni, mi manca la mia quotidianità alla “into the wild” (Dottore devo preoccuparmi? Mi sto forse isolando?).

safari a ruaha national park tanzania
Qui le ore, i giorni, le settimane non hanno valore, il mio bioritmo è arrivato ad un punto che interagisce solamente con la luce ed il buio, nulla serve più, se non quando ti interfacci con il mondo esterno, comunque da provare, mai nella vita una sensazione simile.
La mattina mi sveglio all’alba, gli uccellini la mia sveglia e i leoni gli scassa palle durante la notte (che avranno da fare il richiamo per ore? Se gli altri non arrivano, saranno impegnati, no!?!). La mia tenda è super accogliente, una veranda con tavolo e sdraio, una camera da letto, con letto, scrivania, armadio, un bagno adiacente con lavandino, doccia e wc sotto le stelle (l’hai mai fatta mentre ti guardano le stelle o un elefante?).

elefante nel safari di ruaha national park
In ufficio vado a piedi, sarà che dista 50 mt, non ho orari, ma solitamente arrivo alle 6.45, ora capisco il detto “Il mattino ha l’oro in bocca”, mi faccio una super moka di caffè e che nessuno osi parlarmi in inglese prima del caffè, colazione con succo di passion fruits, fresco di giornata, fette di pane tostato, sfornato al campo, con burro e marmellata di guava e vai alla grandeee! Le giornate volano con i problemi, soddisfazioni, momenti di scoramento ed entusiasmo, certo che se penso alle ore che passavo in ufficio a Lumezzane, mio Dio, erano una tortura.
E’ incredibile come sia possibile che, uno staff composto da quarantatre tanzani e due manager, di cui uno inglese e l’altro italiano (se volete fateci una barzelletta), riescano, per quanto ci siano dei limiti dettati dalla lingua, a gestire un campo che ospita, al massimo, 28/30 ospiti.

il campo di ruaha national park
Ospiti, membri dello staff, un fiume di differenti storie, tradizioni, modi di fare e porsi, input che mi stanno dando tanto, mi stanno, forse, un po’ cambiando ed aprendo al mondo, anche se so sempre da dove arrivo e ne vado fiero, sono quel bresciano che ama il pirlo misto, le sagre di paese, una cena con gli Amici, lo spiedo con la polenta (vegetariano, ma quando torno uno spiedo sì, è!), i pizzoccheri e il tiramisù della Giusy, il Brescia Calcio un giro con la moto sul lago.
A proposito del Garda, sapete che dico quando mi chiedono da dove vengo?
“Sai dov’è il Lago di Garda (Garda Lake or Garda See)? Nord Italia, ecco lì vicino, conosce Brescia? No? Forse si ricorda l’ultima squadra dove ha giocato Roberto Baggio?! Esatto, è sì, grandi anni quelli, a momenti arriviamo in Uefa…ecco quella è la mia città, la mia Brescia”

Un vero bresciano in Tanzania
A voi tutti un buon Natale, dal cuore, e spero di non avervi annoiato.
Vi auguro possiate spremere questa vita nel migliore dei modi, che non rimanga nemmeno una goccia, godetevela e bevetene tutto il succo, lo so, a volte è aspro, ma lo sapete, la vita è così, credo serva a godersi al massimo la parte dolce, delicata, inebriante, ovattante, sorprendente…comunque sia ENJOY IT e come dice l’amico V. “Che la ta dures”.
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