OSWIECIM: questo era il primo vocabolo, di una lingua pressoché sconosciuta ai più, che si imparava scendendo dai vagoni merci, dopo lunghi giorni passati stipati al buio, senza cibo né acqua, sporchi e stanchissimi.
Stiamo viaggiando tra Krakovia e Katowice per lavoro ma il richiamo è troppo forte per tirare diritto.
Con la nostra comoda auto e vestiti caldi abbiamo attraversato il centro della bella cittadina dell’Alta Slesia con la sua piazzetta quadrata sulla quale si affacciano linde palazzine colorate (chissà come erano settanta anni fa).
A pochi chilometri si trova il “famigerato” campo di Auschwitz.
Entrati a Birkenau, attraverso il portale sovrastante la rotaia che al tempo conduceva alla “rampa”, ci sembra di attraversare uno Stargate.
La cacofonia di lingue dei visitatori di oggi, quasi si confonde nelle nostre menti, ci sembra invece di ascoltare le milioni di voci che in poco più di due anni, menti perverse hanno spento per sempre.
Camminando attraverso il campo, ora pulito e contornato di verdi aiuole, è difficile oggi pensare a ciò che questo posto ha rappresentato e solo con una immaginazione pari a quella del miglior Stephen King, comprendiamo tutto l’ orrore di ciò che ci circonda.
Usciti da qui, nonostante tutti i film sull’argomento ed i vari libri letti, ci sentiamo ancora più tristi ma sicuramente più determinati a divulgare, a far conoscere ai più la nostra esperienza, affinché nella memoria di ciascuno rimanga per sempre una piccola fiammella a ricordo di coloro che, “passati per il camino” siano riusciti almeno ad attraversare il loro Stargate e oggi riposino in una dimensione serena e felice.

L’ingresso di Birkenau.

Il modo migliore per percepire l’impressionante vastità del campo di sterminio è quello di fare a piedi il percorso che dall’ingresso principale e costeggiando per più di un Km i binari ferroviari porta fino al monumento alla memoria delle vittime, posto nella zona dei crematori.

Le dimensioni del campo erano di circa 2,5 km per 2 km ed era circondato da filo spinato elettrificato usato da alcuni prigionieri, stremati dalla impossibili condizioni di vita – addirittura peggiori di quelle di Auschwitz e di Monowitz -, per suicidarsi (nel gergo del campo: «andare al filo»).

Il campo arrivò a contenere fino a 100.000 persone internate in diversi settori, completamente separati tra loro e senza nessuna possibilità di comunicazione tra un campo e l’altro.

Il monumento alla memoria delle vittime.

Fine delle rotaie davanti al monumento alla memoria delle vittime. Voltandosi indietro si vede appena in lontananza la costruzione dell’ingresso.

Il campo era dotato di quattro grandi Crematori e di «Roghi», fosse ardenti ininterrottamente giorno e notte, usate per l’eccedenza delle vittime che non si riusciva a smaltire nonostante le pur notevoli capacità distruttive delle installazioni di sterminio.
Hi Vanni, grazie per inviarmi l’articolo
Ben scritto.
Ma per me e’ un posto troppo triste non credo mi sentirei molto felice di fare visita.
Ciao
Grazie, Vanni, per la tua sincera, sentita testimonianza. Vorrei ricordare alcune parole di Primo Levi che mi sono rimaste nella memoria: “I migliori tra noi sono rimasti lì”. Ricordava un suo compagno di campo che, per aver osato protestare per il “cibo” che erano costretti a mangiare, fu annegato in un pentolone pieno di disgustosa brodaglia.